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Workshop

WS6 |ICBSA Istituto Centrale dei Beni Sonori e Audiovisivi, Accademia Nazionale di Danza

Tutela e Valorizzazione del Patrimonio Sonoro e Coreutico: Il Ruolo di I.C.B.S.A. e A.N.D.

Introduzione

“Il corpo è il primo e più naturale strumento di comunicazione dell’uomo” (M. Mauss, 1936).
Il movimento di una ballerina conserva infatti la memoria gestuale di una cultura: è un linguaggio silenzioso che unisce e mette in relazione le persone. Una relazione tra singoli, tra
gruppi, tra uomini e spazi.
Se la danza rappresenta il legame instaurato tra più soggetti che condividono un’esperienza, allora ogni movimento di quell’esperienza ne diventa custode, conservandone il significato nel tempo: diventa segno. Non a caso Assmann affermò che “La memoria culturale è legata a rituali e simboli che garantiscono la coesione sociale e la costruzione di un’identità condivisa” (J. Assmann, 1992).

Discorsi pubblici di grandi personalità, un rituale musicale o il suono di un idioma sono segni che svaniscono nell'immediatezza ma trovano rifugio nella memoria, spesso tramandata oralmente. Questa memoria è parte del documento storico che costruisce la nostra identità.
La memoria culturale non è solo un archivio di ricordi ma un processo dinamico che si rinnova attraverso narrazioni e pratiche sociali (A. Assmann, 2010).

Suono e danza (linguaggi dei nostri enti) vivono una congiunzione naturale, legati tra di loro dal loro impatto sul tempo, sul ritmo e sul movimento. Entrambi richiedono dei metodi di conservazione specifici che incidono su altre forme d’arte. Il linguaggio audiovisivo è sicuramente lo strumento che più ha impattato nel Novecento per la conservazione e il racconto di questi “segni” immateriali. Questo porta ad una riflessione sugli strumenti di conservazione, sia quelli materiali/tecnici, come un CD, un nastro o una pellicola, sia quelli linguistici, come un racconto cinematografico.

Ente

Il workshop 6 della Roma Design Experience ha visto il coinvolgimento di tre enti: l’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi (ICBSA), l’Accademia Nazionale di Danza (AND) e l’ISIA Roma Design in qualità di ente ospitante. Nonostante le loro differenze, essi condividono una missione comune: conservare, tutelare e valorizzare il patrimonio culturale, con particolare attenzione alla dimensione sonora, audiovisiva e performativa.

L’ICBSA custodisce un archivio unico, che va dalla musica ai discorsi politici, dalla documentazione antropologica a quella giornalistica. La sua richiesta ha riguardato la valorizzazione di questa vasta “discoteca” nazionale, ponendo l’accento sulla produzione di nuovi contenuti di memoria, con un focus particolare sulla danza.

L’Accademia Nazionale di Danza, oltre ad essere un’istituzione formativa, conserva oltre 80 anni di documentazione audiovisiva. Ha espresso l’esigenza di rinnovare la propria immagine, sentita come distante dalla ricchezza della propria storia e attività.

Già nelle prime giornate di workshop è emersa la necessità di esplorare linguaggi comuni e convergenze tra gli enti, affrontando questioni profonde: cos'è un prodotto culturale oggi? Quale impatto ha la digitalizzazione sulla sua trasmissione? Quali strumenti vanno tutelati insieme ai contenuti?

Il workshop Roma Design Experience ha esplorato il legame tra archiviazione sonora e valorizzazione del patrimonio coreutico, investigando sull’integrazione tra tecnologia e tradizione. Attraverso la digitalizzazione abbiamo utilizzato uno strumento indispensabile per la tutela del patrimonio immateriale. Inoltre, attraverso l’uso di tecniche di machine learning e intelligenza artificiale, è stata possibile l’analisi automatica di grandi quantità di dati, facilitando il recupero e la catalogazione delle informazioni archivistiche.

Se la tutela del patrimonio culturale è un processo in continua evoluzione, che richiede un approccio integrato e multidisciplinare, l’esperienza del workshop ha dimostrato che la collaborazione tra enti e l’uso delle nuove tecnologie può offrire soluzioni innovative per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio sonoro e coreutico. L’obiettivo futuro sarà quello di ampliare queste strategie, coinvolgendo istituzioni, ricercatori e pubblico in un dialogo aperto sulla memoria culturale e sulle sue infinite possibilità di fruizione.

Metodologia

Nonostante non ci fosse inizialmente la volontà di strutturare la progettazione del lavoro sulla base dei giorni della settimana, l’impostazione del progetto si è suddivisa in modo naturale in cinque fasi. La metodologia di lavoro è stata individuata e approvata insieme al team, che ha partecipato attivamente a tutte le scelte progettuali del lavoro. I gruppi di lavoro, inoltre, si sono formati autonomamente, a seconda degli interessi individuali, delle competenze e delle necessità.

La metodologia applicata ha visto l’alternarsi di fasi convergenti e divergenti, che possono essere comprese analizzando il modello di processo progettuale del British Design Council, denominato Double Diamond (BDC, 2005).
Le fasi di questo sistema sono state: analisi e comprensione degli enti, obiettivi e strumenti, messa a sistema di attori e touch point principali, ricerca per ambiti di progetto, concettualizzazione di prime soluzioni, ricerca verticale e concettualizzazione di queste e produzione e messa a punto degli output da presentare.

La ricerca più corposa è stata quella sul concetto lessicale, ovvero prendere lingue diverse e trovare il modo per farle dialogare tra loro.

Nella fase di ricerca e comprensione iniziale il gruppo ha lavorato sinergicamente, coinvolgendo tutti gli elementi del team. In una seconda fase ci sono state delle divisioni, legate ad esigenze progettuali, per andare a sviluppare quelle che sono poi diventate le proposte progettuali presentate agli enti. I concept finali sono stati due, per questo motivo il gruppo di lavoro si è diviso in due sottogruppi principali che, a loro volta, si sono suddivisi in entità ridotte per andare a lavorare su tutti i fronti necessari per lo sviluppo della risultante di progetto.

Importante dire che il lavoro è stato gestito dalle studentesse e dagli studenti in maniera autonoma, con l’aiuto di poche, semplici e mirate revisioni per comprendere a pieno le direzioni più coerenti da intraprendere.

La metodologia applicata ha portato ai risultati sperati, senza aver bisogno di utilizzare tempo extra rispetto a quello curriculare.

Risultati

Il brief è nato da un problema condiviso, dal quale sono emerse le traiettorie progettuali del workshop. Abbiamo riconosciuto tre nature distinte ma interdipendenti: l’AND come corpo vivo ma silenzioso, l’ICBSA come archivio immobile che cerca movimento, l’ISIA come mano che connette.

La prima sfida è stata quella di trovare un equilibrio tra un’analisi teorica e di scenario più approfondita e lo sviluppo di soluzioni progettuali tangibili. Entrambe le direzioni sono state esplorate, seppur con peso diverso: una prima fase di ricerca ha permesso di costruire le basi teoriche necessarie per poi concentrare l’attenzione sulla progettazione di output esemplificativi, capaci di attivare processi comunicativi concreti mantenendo vivo il legame con il pensiero critico.

Il gruppo ha quindi lavorato alla definizione di una strategia di comunicazione, basata su vincoli precisi: rispetto dell’identità dei singoli enti, coerenza nella definizione di “prodotto culturale”, attenzione a un macro-target ma anche a micro-target comuni.

Dalla mappatura dei valori e delle necessità è emersa con forza l’importanza della relazione fisica nei processi comunicativi: eventi dal vivo, spettacoli, corsi di formazione non solo attivano l’esperienza ma diventano contenuti comunicabili. Documentare l’evento diventa esso stesso atto di conservazione e produzione culturale.

Due direzioni progettuali sono nate da questo processo. Una più speculativa, volta a costruire una narrazione coerente e identitaria a partire dai valori condivisi. L’altra più operativa, costruita su strumenti già esistenti (archivi audiovisivi, risorse visuali, identità visive) per costruire una comunicazione immediata e pubblicamente riconoscibile.

In entrambi i casi l’obiettivo non è stato quello di offrire soluzioni conclusive ma di tracciare direzioni, ipotesi, scenari di dialogo. I risultati progettuali diventano dunque pretesti per aprire conversazioni: sulla comunicazione possibile, sui vettori culturali, sulla memoria come strumento attivo e sulla digitalizzazione non come fine ma come contesto da tenere in considerazione.

I risultati ottenuti si distinguono per due elementi fondamentali: la capacità di leggere le reali esigenze degli enti coinvolti e la costruzione di risposte comunicative articolate ma accessibili.

Il gruppo, che si è diviso in due strade progettuali, ha saputo coniugare strumenti diversi – analisi visiva, progettazione di contenuti, riflessione sul linguaggio – con un approccio critico che ha sempre tenuto conto del valore culturale e simbolico del patrimonio affrontato.

Tra i punti di forza si evidenziano la capacità di cooperazione tra i membri del team, la sensibilità nel trattare materiali storici e immateriali, l’attenzione a non appiattire le identità degli enti ma a valorizzarne la complessità.

Il limite principale emerso riguarda ovviamente il tempo a disposizione, che ha impedito un approfondimento ulteriore di alcune delle soluzioni proposte, in particolare rispetto alla loro attivazione concreta all’interno degli enti. Alcuni elementi di comunicazione – come l’ipotesi di format audiovisivi o campagne digitali – restano potenzialità da esplorare ma non ancora pienamente strutturati.

Tuttavia il lavoro ha messo in moto un processo. Ha generato domande e individuato spazi di dialogo. E questo, nel contesto del workshop, si configura già come un risultato pienamente coerente con gli obiettivi iniziali: progettare non solo prodotti ma relazioni, scenari, visioni possibili.

Conclusioni

L’esperienza del workshop ha mostrato come il design possa fungere da ponte tra enti diversi, valorizzando patrimoni apparentemente distanti attraverso linguaggi condivisi. Il progetto apre a prospettive future legate alla costruzione di strategie comunicative più ampie e durature, capaci di coinvolgere pubblico, istituzioni e territori. Le due direzioni progettuali sviluppate rappresentano un punto di partenza, non una conclusione: scenari che potranno evolvere in veri e propri piani di comunicazione e conservazione culturale.

Il lavoro svolto dimostra come la contaminazione tra saperi – danza, suono, design – possa generare nuove forme di narrazione, capaci di restituire profondità e accessibilità alla memoria culturale. La riflessione più ampia riguarda il ruolo attivo del designer nella mediazione culturale: non solo progettista di forme ma facilitatore di relazioni, significati e identità.

Il Team

Un racconto restituito da chi ha vissuto il progetto dall’interno, tra idee, sfide e trasformazioni. Una testimonianza di ciò che accade quando il design diventa esperienza condivisa.

Docenti

Alessandro Guariento

Tutor

Guglielmo Nodari Adriana Volpe

Studenti

Eva Antonna Anna Carmello Anna Ciervo Samira Emidi Alessia Fucili Paola Francabandiera Lorenzo Garofani Pablo Godino Elena Mastrantonio Daniele Montini Alessandro Nuzzi Giulia Petitta Alessia Polverino Sofia Ripieno Alex Russo Chiara Savoja Daniela Smaldino Siria Vincenzi